Orfeo ed Euridice, mano nella mano, si allontanano dall’infuocato mondo sotterraneo e dalle sue divinità, Plutone e Proserpina. Orfeo, cantante, musicista e poeta, portando una lira sulla spalla, aveva sposato da poco Euridice, ma il giorno del loro matrimonio, “nel vero fiore della sua vita”, fu morsa da una vipera e morì del suo veleno. Sconvolto dal dolore, Orfeo discese negli inferi determinato a riportarla alla mortalità. Ha implorato Plutone e Proserpina per il suo ritorno e la sua eloquenza “ha sciolto i cuori degli dei e degli abitanti degli inferi, e tutti tacquero”. Persino Cerbero, il feroce cane a tre teste che custodisce le porte dell’Inferno, giace docilmente ai piedi di Proserpina.
Gli dei acconsentirono al ritorno di Euridice: Proserpina senza dubbio comprensiva mentre ricordava il suo violento rapimento da parte di Plutone. L’unico avvertimento era che Orfeo non doveva voltare lo sguardo a Euridice fino a quando non si fosse sistemata al sicuro nel mondo superiore. Se avesse infranto la parola data, sarebbe discesa ancora una volta agli inferi.
Nel dipinto di Peter Paul Rubens, Orfeo è raffigurato mentre lotta per guardare avanti subito dopo che le divinità hanno acconsentito al suo ritorno. All’uscita dagli inferi, gli innamorati salirono su un sentiero ripido e nebbioso e, mentre si avvicinavano al bordo della terra, un ansioso Orfeo guardò dietro alla sua sposa, che cadde e mormorò un ultimo saluto prima di morire di nuovo. “Nessun rimprovero è uscito dalle sue labbra”, secondo Ovidio nelle sue Metamorfosi, perché Euridice sapeva ormai per certo che Orfeo l’amava incondizionatamente.
Il mito di Orfeo ed Euridice ha ispirato numerose opere d’arte: nella letteratura, un cast diversificato come Boezio, Rainer Maria Rilke, Thomas Pynchon e Carol Anne Duffy hanno creato varianti sui suoi temi, mentre i registi Jean Cocteau, nella sua trilogia – The Blood of a Poet (1930), Orphée (1950) e Testament of Orpheus (1959) – e Marcel Camus, con Black Orpheus (1959), hanno catturato la sua risonante tragedia. Opportunamente, è nella musica che risiede la più grande eredità del mito. L’Orfeo, l’opera di Claudio Monteverdi, il primo capolavoro sopravvissuto della forma, composta nel 1607, divenne il primo di molti drammi musicali ad affrontare la storia: Christoph Willibald Gluck (Orfeo ed Euridice, 1774), Jacques Offenbach (Orpheus in the Underworld, 1858 ), Harrison Birtwistle (The Mask of Orpheus, 1986) e l’attuale successo di Broadway di Anaïs Mitchell, Hadestown, ambientato nel profondo sud americano, sono tra quelli che si sono aggiunti a un canone che continua ad espandersi.
Tipicamente Rubens Il vivido Orfeo, che rivela la profonda comprensione dell’artista del mito classico e delle allusioni, fu dipinto alla fine degli anni Trenta del Seicento.